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Back to school: back to precariato.

Si torna a scuola. Ci tornano i bambini e gli insegnanti, quelli di ruolo e i supplenti. Se tutto va bene, questi vengono presi da liste di professionisti con anni di esperienza, altrimenti si dividono in tre categorie:
– Laureati che possono insegnare perché hanno fatto i famosi 24 cf utili
– Messe a disposizione da parte di laureati che conoscono la materia
– Il cugino della zia della nonna del suocero della preside.

In molti penseranno, “la classica scuola all’italiana”, un susseguirsi continuo di maestre o professori sempre diversi per gli alunni. Sì, certo, ma il problema va ben più in là della mancanza di continuità.

Nel caso in cui ad insegnare siano i laureati con i 24 cfu, siamo davanti ad un insegnante che entra in un’aula senza mai averne vista una. Già, perché questa tipologia di “insegnante”, si può essere laureato in qualsiasi materia e poi aver fatto questi esamini extra che gli permettono di insegnare. Alcuni diranno che questi esami sono basati su materie pedagogiche. Certo, tutto molto bello e tutto molto TEORICO. Gli esami non prevedono del tempo passato in classe, con degli alunni, insomma, non prevedono un tirocinio.

“L’esperienza si fa in classe”, alcuni diranno. Certo. Ma parliamo di un’esperienza che andrebbe presa con la giusta serietà. In qualsivoglia facoltà medica (p.es. infermieristica) lo studente deve fare delle ore di tirocinio in ospedale/clinica, affiancato da un tutor. Ciò gli permette di fare esperienza, toccare con mano il lavoro senza mettere in pericolo la vita dei pazienti.

Perché questo non avviene per gli insegnanti? Si crede forse che i bambini, gli adolescenti, o qualsiasi minore vulnerabile non sia così delicato? La docenza è un lavoro delicato. Tutti i giorni l’insegnante deve formare nuove menti, affrontare i comportamenti contorti di bambini e teenager, molti di quest’ultimi in piena crisi d’identità, con bisogno di una guida che li capisca e sappia come prenderli. Cosa succede, invece? Che l’insegnante non sa cosa vuol dire essere un educatore.

Si innesca così una spirale dove il minore non viene educato, anzi, magari viene escluso dalla classe, allontanato, additato come “scansafatiche”, “non studioso”. Si dovrebbe, invece, capire il motivo di questo comportamento, prendendosi la briga di andare a fondo e trovare un modo per connettersi e comunicare con il giovane.

Va da sé che si parla tanto di introdurre materie come “l’empatia” e il “consenso” nella scuola italiana, che ben venga, ma se a insegnarlo solo sempre e solo docenti non qualificati, siamo punto e a capo.

La soluzione? Copiare chi fa bene.
Nel Regno Unito esiste il PGCE, ovvero un master di un anno OBBLIGATORIO per chiunque voglia insegnare. Il che vuol dire che, dopo qualsiasi laurea, l’aspirante insegnante dovrà fare questo master che viene svolto per il 90% in classe, quindi lo studente viene assegnato ad una scuola, sotto la guida di un tutor, che lo affiancherà e guiderà nelle diverse classi, insegnandoli trucchi per l’insegnamento e man mano lasciarli delle classi a cui insegnare in “autonomia”, mentre il tutor lo osserva e gli dà un giudizio.

Scritto da GiadaPerini

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